Anche la COP sulla desertificazione termina senza un accordo finale
Secondo quanto pubblicato nell’ultimo bollettino del Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus è ormai praticamente certo che il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato e il primo con più di 1.5°C al di sopra dei livelli preindustriali. In Europa ottobre 2024 è stato il 5° mese di ottobre più caldo della storia, con una temperatura di 1.23°C al di sopra della media nel periodo 1991-2020 per questo mese.
Annual global surface air temperature anomalies (°C) relative to 1850–1900 from 1940 to 2024. The estimate for 2024 is provisional and based on data from January to October. Data source: ERA5. Credit: Copernicus Climate Change Service /ECMWF. Retrieved from “Copernicus: 2024 virtually certain to be the warmest year and first year above 1.5°C”
Con queste premesse, c’era grande attesa per gli esiti della COP16 sulla desertificazione, svoltasi a Riad, in Arabia Saudita, dal 2 al 14 dicembre. Il tema centrale della Conferenza era il contrasto alla siccità, principale responsabile della desertificazione, ma in agenda c’erano anche molti altri temi: l’uso sostenibile del suolo, il recupero delle aree degradate, l’efficienza nella gestione dell’acqua, la perdita di biodiversità.
Ma soprattutto anche in questa COP si sarebbe dovuta prendere una decisione chiara riguardo agli impegni finanziari. E anche in questa COP – come in quelle sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici, che l’hanno preceduta – non è stato trovato un accordo tra le parti.
Le nazioni africane, supportate dal blocco dei Paesi in via di sviluppo, hanno posto come condizione non negoziabile la ratifica di un protocollo vincolante. Posizione non accolta dagli Stati occidentali – e in particolare dagli USA – che invece hanno spinto per la definizione di un accordo più leggero e non obbligatorio. La ricerca di una intesa è dunque rimandata alla prossima COP17 sulla desertificazione che si terrà in Mongolia nel 2026.
Qualche piccolo passo in avanti è stato comunque compiuto. Il Partenariato globale per la resilienza alla siccità di Riyadh ha raccolto nel complesso 12,15 miliardi di dollari (dieci dei quali messi a disposizione dal Gruppo di coordinamento arabo) destinati a migliorare la condizione di 80 Paesi gravemente colpiti dalla siccità. Un segnale positivo anche se si tratta di una cifra molto lontana da quella necessaria per arrestare la desertificazione a livello globale.
L’Italia ha stanziato 11 milioni di euro da destinare al ripristino del suolo nel Sahel, come contributo all’avanzamento del progetto Great Green Wall, sostenuto dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN), che si propone di piantare alberi e rigenerare terreni degradati in una larga fascia di territorio che va da Dakar a Gibuti.
Tra i risultati positivi va annoverato la creazione dell’Osservatorio Internazionale sulla Resilienza alla Siccità (IDRO), una piattaforma basata sull’intelligenza artificiale per migliorare la gestione dell’acqua e migliorare a scala globale la capacità di risposta agli episodi di siccità più intensa.
Infine, è stato consolidato l’impegno del settore privato per l’implementazione di Business4Land, l’iniziativa lanciata dal UNCCD al World Economic Forum del 2024 che incentiva la partecipazione di aziende e istituzioni finanziarie ad azioni finalizzate alla rigenerazione di suoli degradati. L’obiettivo di B4L è di ripristinare 1,5 miliardi di ettari di terreno entro il 2030, contribuendo alla Land Degradation Neutrality (LDN), un impegno globale per migliorare la resilienza alla siccità e raggiungere la neutralità della degradazione del suolo entro il 2030.
Giuseppe Dodaro, Coordinatore del Nature Positive Network